La Scelta delle calzature per bambini e adulti

La scelta delle calzature per bambini e adulti

 

La scelta delle calzaturepiedi_bambini1 è molto importante negli adulti, ma ancor più nei bambini. Consigli pratici per la corretta selezione delle calzature per noi e per i nostri piccoli.

La scelta delle calzature necessita, ancor più che per altri capi d’abbigliamento, di particolare attenzione, non solo nella selezione del modello esteticamente più bello ed in voga sul momento, ma anche e soprattutto perché l’utilizzo di una scarpa piuttosto che un’altra può profondamente influire sul nostro modo di stare in piedi, camminare e determinare sostanzialmente modifiche sulla nostra postura globale.
In commercio esistono ormai i più svariati modelli, dalle tradizionali scarpe col tacco (vedi anche Scarpe coi tacchi: istruzioni per l’uso dello stesso autore), tanto care al sesso femminile, che si ripropongono annualmente con altezze sempre più vertiginose fino a recenti bizzarrie come le scarpe rassoda glutei o quelle che come un guanto avvolgono il piede.
Non addentrandoci sulla validità o meno di questi ultimi modelli, il lettore potrà trarre le sue conclusioni leggendo per intero l’articolo, ci limiteremo invece ad osservare quali siano le caratteristiche ideali che ogni calzatura dovrebbe possedere, prendendo a riferimento bambini e adulti.

Bambini e scarpe

È ormai freqbaby1uente osservare sempre più neonati con ai piedini la scarpa con il marchio più alla moda. Nei bambini così piccoli la scarpa non solo non è di alcuna utilità ma spesso può risultare perfino dannosa. Il piede è infatti nei primi mesi di vita uno strumento di conoscenza elettivo per il bambino, soprattutto nella sua funzione recettoriale, basti osservare come essi tendano continuamente a toccarli e a portarli alla bocca. Imprigionarlo all’interno di una scarpa significa fondamentalmente privarlo di quegli stimoli così importanti per lo sviluppo della sua sensibilità propriocettiva.
Nei primi anni di vita il corpo del bambino è sottoposto a modifiche strutturali notevoli nel corso dello sviluppo, il piede non sfugge a questa regola. La costrizione che il piede può subire all’interno di una scarpa, specie quando è troppo piccola o non si adatta alle caratteristiche dell’arto, possono inficiare con il suo corretto sviluppo, variarne la forma e il modo di camminare del bambino. Fondamentale dunque scegliere la scarpa più adatta, ricordando comunque che fino a quando il bambino non diventerà totalmente autonomo nel cammino la scarpa non ha alcuna utilità.
Una suola piatta ma allo stesso tempo flessibile nella sua parte anteriore, tale da poter piegare la punta di 90°, permette un corretto movimento articolare durante il cammino. La punta della scarpa dovrebbe essere abbastanza ampia per contenere comodamente le dita. Nella parte posteriore il contrafforte dovrebbe essere abbastanza rigido per tenere ben allineata la caviglia, al contrario delle scarpe in tela indossate spesso oggi che non assicurano la necessaria stabilità del retropiede. Per evitare che il bambino sfili le scarpe facilmente è bene che siano provviste di un gambaletto morbido e avvolgente, l’altezza tuttavia non dovrebbe superare i malleoli per non limitare il normale range articolare. Ricordarsi di cambiare le scarpe frequentemente, il piede del bambino cresce infatti di circa 3-4 mm al mese. Più che alla marca particolare attenzione dovrà andare alla scelta del materiale. Una buona scarpa è quella che risulta elastica durante il passo senza tuttavia deformarsi: ottima la pelle. Specie per i bambini vale il principio secondo cui è la scarpa che deve adattarsi al piede e non viceversa.

Adulti e scarpe

la-scelta-delle-calzature-per-bambini-e-adultiSviluppo di callosità e vesciche, alterazione della circolazione, infiammazioni locali sono alcune delle conseguenze dannose determinate dall’utilizzo di calzature inadeguate in età adulta.
Peggio ancora se una determinata scarpa stravolge totalmente l’architettura del piede determinando dolori che spesso possono irradiarsi fino alla schiena, come nell’utilizzo prolungato delle scarpe col tacco. Oltretutto per chi presenta già deformità importanti a livello del piede, dita a martello, alluce valgo, 5° dito varo ecc., la scelta della calzatura più idonea per i propri piedi assume ulteriore importanza. Alcune delle caratteristiche ideali già elencate per le scarpe per bambini valgono anche per quelle degli adulti: punta arrotondata e ampia per accogliere comodamente le dita, presenza di un contrafforte rigido posteriore, altezza che non dovrebbe superare i malleoli, flessibilità anteriore di 90°. Ulteriori elementi che concorrono a determinare una buona calzatura sono una tomaia abbastanza alta, in modo che le dita, soprattutto quelle a martello, non vadano a sfregare continuamente durante il cammino determinando susseguentemente lo sviluppo di callosità e dolore. L’altezza posteriore del tacco può andar bene fino a 2 cm per gli uomini, 4-5 cm per le donne, al contrario dei bambini dove la suola piatta è più indicata per un piede ancora in fase di formazione.
La misura dovrebbe prevedere una distanza fra punta della scarpa e dita dei piedi di almeno 1 cm, circa un dito della mano trasverso. Calzatura troppo strette alterano la circolazione degli arti inferiori, in particolare il ritorno venoso, le gambe diventano gonfie e pesanti. Il piede è definito infatti come il secondo cuore del nostro corpo, da esso parte una fitta rete di capillari la cui spremitura durante il cammino determina il ritorno del sangue e della linfa verso l’alto. Al contrario scarpe troppo larghe determinano lo sfregamento della cute con sviluppo di vesciche e callosità.
Per i motivi appena elencati capiamo dunque il perché la scelta delle calzature non dovrebbe accostarsi in maniera semplicistica a mode o fenomeni del momento, almeno non esclusivamente. Dai nostri piedi può dipendere la salute di tutto il corpo, essi meritano quindi ben altra attenzione, con la scelta della scarpa più adatta.
Dott. Vincenzo Pagano

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IL Dolore parte II

Il dolore parte II

 

il dolore fisiologico 2Il dolore non è un’esperienza gradevole, ma pensare a come evitarlo,  combatterlo e sconfiggerlo rende la vita sicuramente più semplice.

Nello scorso articolo abbiamo appreso come può essere qualificata e quantificata la percezione del dolore, in questo possiamo dedicarci alla ricerca di un perché del dolore e come mai perdura.

Il dolore in sé ha sempre una fonte, le cause possono essere molteplici, ma di qualunque natura siano, esso ha sempre un’origine psico-fisica; quest’ultima gioca, infatti, un ruolo molto importante e non può essere disgiunta da quella fisica. L’ansia, la depressione, ma anche altri stati d’animo possono, pertanto, amplificare la percezione del dolore, facendolo apparire più forte di quanto sia nella realtà. Non sempre il dolore è presente nella zona dei tessuti malati, anzi talvolta è localizzato in sedi distanti da dove esso viene percepito.

La  percezione del dolore può essere suddivisa  in:

  1. Infezione e infiammazioni: nelle infezioni in genere la causa del dolore è l’infiammazione, che compare nella zona infettata come reazione dell’organismo all’invasione da parte dell’agente infettivo. Il dolore da infiammazione di solito si associa ad altri segni, come per esempio gonfiore e calore nella parte infiammata, talvolta arrossamento.
  2. Traumi meccanici: un trauma, come uno stiramento eccessivo di un tendine o di un muscolo o una contusione, può costituire la causa del dolore per attivazione dei nocicettori meccanici. Il dolore è in genere associato alla posizione che si assume oppure a particolari movimenti e scompare con il riposo.
  3. Ustioni: l’ustione può essere di tre tipi: ustione termica, ustione elettrica o ustione chimica. Essa produce dolore immediato per stimolazione diretta dei nocicettori dell’epidermide. Quando è profonda, può distruggere i terminali nervosi, se la distruzione è totale, i terminali nervosi diventano insensibili fino a quando non si rigenerano completamente, ma se la lesione è solo parziale le fibre nervose continuano a inviare messaggi dolorifici.
  4. Allergie: le manifestazioni allergiche possono comparire a carico di diversi organi e apparati: occhi, pelle apparato respiratorio, apparato gastrointestinale, talvolta apparato muscolo-scheletrico. La sintomatologia è dovuta a una reazione infiammatoria prolungata.
  5. Degenerazioni o danni tissutali: tipiche patologie degenerative sono quelle osteoarticolari, come l’osteoartrosi (OA), nelle quali si hanno alterazioni metaboliche delle cellule che costituiscono la cartilagine e degenerazione dei tessuti ossei dell’articolazione. In queste affezioni il dolore è una componente importante. Mentre il danno può essere provocato da un agente esterno o semplicemente da noi stessi, come? Conducendo una vita molto sedentaria oppure svolgendo dei movimenti errati.

In questa panoramica occupiamoci di quest’ultimo punto quello che interessa la molteplicità della gente, perché non dimentichiamo che oggi nei paesi industrializzati una delle patologie più frequenti nella popolazione adulta è il mal di schiena; infatti, la sua incidenza annuale è massima fra la terza e la quinta decade. Più del 70-90% delle persone avrà almeno un episodio di mal di schiena durante la vita. Ogni anno, il 15-45% degli adulti soffre di dolore lombare e una persona su venti si presenta con un nuovo episodio. Insieme al raffreddore comune, il mal di schiena è la ragione più comune di visita al medico di base. I dolori lombari inoltre costituiscono una delle principali cause di assenza dal lavoro e di richieste di visite mediche e indagini diagnostiche.

E’ necessario analizzare, nello specifico, la degenerazione, il danno tisutale e come prevenirli.

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Il Dolore parte I

il doloreIL DOLORE

Secondo Wikipedia, il dolore rappresenta il mezzo con cui l’organismo segnala un danno tessutale. Secondo la definizione della IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) e dell’Organizzazione mondiale della sanità , il dolore «è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno».
Esso non può essere descritto veramente come un fenomeno sensoriale, bensì deve essere visto come la composizione di:
• una parte percettiva (la nocicezione) che costituisce la modalità sensoriale che permette la ricezione ed il trasporto al sistema nervoso centrale di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo
• una parte esperienziale (quindi del tutto privata, la vera e propria esperienza del dolore) che è lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione spiacevole.

Con la Legge 38/2010 art.7 il dolore rientra come quinto parametro vitale, da rilevare e monitorare.
Il dolore è fisiologico, un sintomo vitale/esistenziale, un sistema di difesa, quando rappresenta un segnale d’allarme per una lesione tissutale, essenziale per evitare un danno. Diventa patologico quando si auto mantiene, perdendo il significato iniziale e diventando a sua volta una malattia (sindrome dolorosa).
Il dolore è il più comune sintomo di malattia, tutti prima o poi lo provano. Ma è difficile darne una definizione esauriente così come elencare tutti i diversi tipi dolore che si sperimentano nella vita. In pratica, come afferma anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è dolore ciò che ciascuno di noi dice di avvertire come tale. Di certo esso indica che nell’organismo sta accadendo qualcosa di nocivo. Infatti, è una spia che si accende per informarci che qualcosa non funziona bene in qualche parte del nostro organismo. Il corpo informa il cervello affinché questo, in modo istintivo o mediato, possa porre in atto comportamenti adeguati. Funzionando come allarme, il dolore segnala il rischio di perdita dell’integrità psicofisica: ciò allo scopo di conservarla o ripristinarla. Molte malattie sono individuabili grazie, appunto, alle localizzazioni del dolore e alle sue qualità. Ma se questo è vero per le malattie acute non lo è invece quando il dolore si fa cronico, ossia quando esaurisce il suo compito di sentinella perdendo l’utilità di allarme e divenendo esso stesso più malattia che sintomo, causando quindi disequilibrio organico o psichico.
Il dolore può essere localizzato, irradiato o riferito. Si parla di dolore localizzato quando una persona indica il preciso punto del corpo dove avverte il dolore. Nel caso in cui dal punto di origine il dolore sembra seguire un decorso lungo un tratto del corpo (per esempio, un mal di schiena con una irradiazione sciatica) si tratta di dolore irradiato. Quando chi soffre indica un’area di dolore cutaneo più o meno vasta senza una chiara localizzazione ci troviamo di fronte al dolore riferito.

Il dolore si distingue in:

 IL DOLORE ACUTO

Il dolore acuto compare all’improvviso ed è il classico caso di allarme che aiuta ad agire correttamente per evitare all’organismo un danno maggiore, per esempio tenere a riposo una parte traumatizzata. Quando il dolore persiste oltre il processo di guarigione assume le caratteristiche del dolore cronico. Nella maggior parte dei casi può essere il sintomo che permette al medico di giungere immediatamente a stabilire una diagnosi. Qualunque sia l’origine, il dolore acuto produce reazioni di difesa e di protezione che comprendono:

1. alterazioni dell’umore (depressione, ansia, paura)
2. modifiche del sistema nervoso autonomo (alterazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, nausea, vomito, sudorazione)
3. atteggiamenti di modifica della postura.

 IL DOLORE CRONICO

Il dolore cronico opprime centinaia di milioni di persone nel mondo e altera le loro capacità fisiche, emozionali e lavorative. Il dolore veniva in passato definito cronico quando durava almeno sei mesi, ormai il limite temporale è stato superato e oggi il dolore è cronico se dura più del previsto.
Il dolore cronico è uno stato che tende ad essere più insistente del dolore acuto e compromette la vita sociale e la personalità del paziente. Le persone affette da dolore cronico soffrono anche di disturbi del sonno, depressione, affaticamento, e vedono ridotte le loro facoltà intellettive. Le più comuni sindromi sono: lombalgia cronica, mal di testa, fibromialgia (infiammazione cronica dei muscoli e dei tessuti localizzati intorno alle articolazioni) e neuropatia (malattia che coinvolge i nervi periferici).

 DOLORE SOMATICO

Il dolore somatico spesso si presenta con sintomi acuti, che coinvolge e trova origine nel corpo senza coinvolgere il sistema nervoso. Si distingue tra dolore somatico vero e proprio, ossia l’eccitazione dei sensori del dolore situati nella cute, nei muscoli, nelle articolazioni e nelle ossa, e dolore somatico viscerale, ossia il dolore che nasce dagli organi interni. In entrambi i casi lo stimolo doloroso è acuto. Di solito il dolore somatico è controllabile con antinfiammatori e analgesici.

 DOLORE PSICOSOMATICO

Nel dolore psicosomatico al dolore fisico si accompagna sempre una componente emotiva che molto spesso ne moltiplica gli effetti fino a renderlo insopportabile o, al contrario, riesce ad attutirlo fino a cancellarlo. Perché questo accada non è ancora del tutto chiaro. Secondo gli studiosi la situazione del dolore stimolerebbe l’individuo a compiere atti di “lotta o fuga” per conservare se stesso. Rimane comunque difficile classificare “categorie” emotive riferite al dolore. Ogni individuo vive infatti il dolore in modo del tutto personale a causa di molte variabili.

A questo punto la domanda nasce spontanea, ma il dolore come facciamo a misurarlo?

Non esistono strumenti capaci di misurare il dolore. Ognuno di noi ha un metro di giudizio e percezione del dolore. La valutazione del dolore, quindi, viene fatta ponendo attenzione alla descrizione che il paziente fornisce al medico. L’intensità del dolore viene valutata lieve, moderata, forte, atroce, fino a dire: “il più forte dolore mai provato!” Può inoltre essere pulsante, bruciante, lancinante, fastidioso. Esiste comunque un sistema “analogico” (visivo e numerico), molto utile, dove il dolore viene rappresentato da una linea retta di 10 cm che unisce due punti numerati – 0 all’inizio e 10 alla fine – che simboleggiano rispettivamente l’assenza di dolore e il massimo dolore immaginabile. Ma vediamoli nel dettaglio:

 la scala analogica visiva (VAS) è la rappresentazione visiva dell’ampiezza del dolore che un paziente crede di avvertire. Questa scala può assumere diverse forme, sia come scala del dolore che come scala di sollievo del dolore. L’ampiezza del dolore è rappresentata da una linea, solitamente lunga 10 cm, con o senza tacche in corrispondenza di ciascun centimetro. La lunghezza ottimale per misurare il dolore sembra essere 10 cm. Un’estremità indica l’assenza di dolore, mentre l’altra rappresenta il peggiore dolore immaginabile. La scala viene compilata dal paziente, al quale viene chiesto di tracciare sulla linea un segno che rappresenti il livello di dolore provato. La distanza misurata in millimetri, partendo dall’estremità che indica l’assenza di dolore, rappresenta la misura della particolare modalità da quantificare. Questa prova può essere facilmente ripetuta nel tempo. La VAS può essere utilizzata per valutare il dolore in momenti specifici, ma fornisce risultati più attendibili quando è limitata all’esperienza del dolore in corso piuttosto che al ricordo di un’esperienza precedente. Una variante della VAS è la scala di sollievo del dolore, per la quale gli estremi definiscono appunto il grado di sollievo. Al paziente viene chiesto di segnare, sulla linea fra i due estremi, l’entità del dolore rispetto a un momento precedente: nessun sollievo corrisponde allo 0 per cento e il sollievo completo al 100 per cento.
 La scala numerica verbale (VNS) è una semplice scala di valutazione del dolore, molto simile alla VAS. È anch’essa lineare e viene facilmente compresa dal paziente che sceglie semplicemente un numero fra 0 (nessun dolore) e 10 (il peggiore dolore immaginabile) per rappresentare il livello di dolore. La VNS elimina la necessità della coordinazione visiva e motoria richiesta per eseguire la VAS e offre quindi maggiori possibilità di completamento. Sembra più utile della VAS per la misurazione nell’immediato periodo postoperatorio. Un’altra scala di sollievo del dolore costituisce una variante della scala numerica verbale. Gli estremi definiscono il grado di sollievo del dolore; lo zero indica nessun sollievo, mentre il dieci indica un sollievo completo.

Secondo alcuni autori il dolore è un’esperienza sensoriale percepita a livello del Sistema nervoso centrale come un’emozione sgradevole.
Con il termine nocicezione si intendono tutti quei meccanismi di trasmissione dello stimolo doloroso dalla periferia al sistema nervoso centrale; l’Interazione delle diverse aree cerebrali che elaborano il segnale nocicettivo, ne consente la presa di coscienza, cosi si ha la percezione del dolore. Tale percezione dolorifica può essere suddivisa in diverse componenti:

• Una componente sensitivo discriminativa che consente di localizzare lo stimolo e di quantificarne qualità ed intensità
• Una componente affettivo emozionale che consiste all’individuo di reagire al dolore affettivamente parlando;
• Una componente cognitivo-valutativa , che consta nella capacità di valutazione del dolore di una seconda dell’educazione ricevuta e del contesto sociale.

Dott. Vincenzo Pagano

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La Danza e la Postura

 

 

DANZA 2 - Copia

La Danza e la Postura

La Postura è un modo di essere personale, è un linguaggio espressivo che comunica sé stessi. La danza vuole insegnare, guidare il corpo alla ricerca di sé stessi. E’ un modo per esprimere se stessi, per far notare alla gente chi siamo e quanto in alto possiamo volare. A volte un semplice movimento o gesto può far decadere l’immagine che avremmo voluto trasmettere a chi ci guarda nel ballo. Succede per motivi banali per atteggiamenti scorretti che assumiamo nella vita giornaliera, per modi di approccio alle lezioni molto superficiali, per percezioni o immagini del vissuto corporeo non acquisite o perché muscolature molto retratte o più elastiche di altre fanno nascere scompensi posturali.
Quindi ha inizio il mio compito: osservazione.
Sì il semplice osservare e testare e parlare con la ballerina o atleta può portare a notevoli miglioramenti posturali che di presentazione di ballo.
Sì il Posturologo persegue l’obiettivo di aiutare il corpo, attraverso l’espressione a far emergere il lato creativo e unico che in ognuno di noi esiste.
Ma con un’attenzione diversa, non lasciandolo in balìa di se stesso, bensì accompagnandolo in una scelta consapevole delle proprie potenzialità ed aspirazioni.
Lasciare liberi i bambini di assumere le posture secondo le proprie inclinazioni non è lasciarli liberi di esprimersi; insegnargli come stare seduti, come portare lo zaino, come lavarsi i denti, come impugnare la penna o il pennarello equivale a fornire uno strumento che potranno, eventualmente, personalizzare a loro piacimento, mentre lasciarli liberi di trovare quello a loro più congeniale è come abbandonarli a sè stessi, astenersi pericolosamente dal fornire un’indicazione preziosa.
Prima di intraprendere un capitolo inerente alle patologie posturali, ciò che colpisce nel vedere porsi un ballerino o ballerina è la postura; un atteggiamento flaccido nel presentarsi in una figura di arabesque, assemblè, attitude, battement con un atteggiamento posturale scorretto e/o con dolore può trasmettere alla platea o pubblico un rifiuto o critica negativa del ballerino o ballerina.
Le patologie posturale in un ballerino/a che sia esso amatoriale o professionista può nascere da un semplice alluce valgo, piede leggermente piatto, muscolatura flaccida o ipertonica e retratta o maggiormente elastica di un’emiparte del corpo. Non da tralasciare sono tutte le alterazioni della articolazione temporo mandibolare e dell’apparato uditivo. Se pensate che una semplice ipoacusia può incidere sulla comprensione dei movimenti nello spazio del ballerino o ballerina. Oppure di un semplice scroscio della articolazione tempero mandibolare può causare dei dolori lombari cosi da non permettere dei movimenti. Come non fare riferimento alla respirazione: gli atti respiratori da eseguire durante uno sforzo che sia esso intenso o meno. Anche se la maggior parte di noi esegue degli atti respiratori completamente scorretti.
Ecco allora a cosa deve mirare il Posturologo insieme alla danzatrice, al recupero, alla educazione e rieducazione degli atteggiamenti posturali che le permettono di volare a far volare l’ immagine di chi la o lo osserva.

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I Recettori Posturali

Oltre alla definizione del termine Postura, si analizzeranno i recettori che contribuiscono all’assetto posturale di una persona, studiando, per quanto possibile, anche alcune problematiche posturali causate da disfunzioni o lesioni di alcuni di essi.

LA POSTURA

Se dovessimo chiedere a 100 persone che si occupano di postura di definire tale termine,  probabilmente otterremmo100 definizioni diverse tra loro. Innanzitutto perché dobbiamo considerare l’ampio spettro di di scipline con altrettante figure professionali che si occupano della postura (podologo, dentista, fisioterapista, chinesiologo, osteopata, fisiatra, ortottista e molte altre ancora, ognuna con un taglio proprio ed affine alla sua specializzazione), così come dobbiamo considerare che anche a livello enciclopedico e scientifico è difficile darne una definizione in modo chiaro ed univoco.

i recettori

Il sistema tonico posturale è un sistema complesso, ove ogni modificazione di una delle sue componenti implica una variazione delle altre ed un riadattamento del sistema nel suo insieme secondo la legge della totalità. Esso è basato su complessi meccanismi di feed-back e di feed-forward, senza tralasciare che anche i fattori psico-emotivi condizionano questo sistema caratterizzando l’atteggiamento posturale del soggetto nella sua globalità.

Il prof. Fabio Scoppa definisce la postura come  “la posizione del corpo nello spazio e la relazione spaziale tra i segmenti scheletrici, il cui fine è il mantenimento dell’equilibrio (funzione antigravitaria), sia in condizioni statiche che dinamiche, cui concorrono fattori neurofisiologici, biomeccanici, psicoemotivi e relazionali, legati anche all’evoluzione della specie”.

Questa definizione racchiude in sè:

  1. il fattore spaziale (del corpo rispetto all’ambiente in cui si trova e dei segmenti scheletrici tra loro)
  2. la funzione antigravitaria
  3. la statica e la dinamica
  4. i fattori neurofisiologici
  5. i fattori biomeccanici
  6. i fattori psicoemotivi e relazionali
  7. l’evoluzione della specie

E’ interessante anche come Scherrington definisce il movimento come una serie di posture, alcuni, addirittura, negano la sua esistenza, ma comunque predomina il principio che la Postura è una premessa del movimento. Estendendo allo sport quest’ultima considerazione si potrebbe considerare come anche la tecnica corretta nell’esecuzione dei movimenti sia riconducibile ad una serie di posture corrette relative all’allineamento dei segmenti corporei nell’atto di preparazione, esecuzione e conclusione di un gesto atletico.

Tornando a ciò che è una valutazione posturale di una persona, generalmente si inizia ad analizzare la posizione eretta dello stesso i cui riferimenti vengono identificati con le Linee di Barrè.

Barrè ha identificato queste linee che dovrebbero essere parallele tra loro e perpendicolari all’asse longitudinale del corpo. E’ evidente come queste debbano essere soprattutto un punto di riferimento in quanto si presume che sia impossibile trovare chi sia perfettamente simmetrico, probabilmente non è neanche nella natura umana!

Comunque, a prescindere da questo, risulta fondamentale conoscerle e tenerle in considerazione, soprattutto per vedere gli sviluppi di un trattamento posturale.

Numerosi sono gli apparati coinvolti nel mantenimento della postura corretta e il cattivo funzionamento di uno o più di essi provocano un errato atteggiamento posturale. Il risultato è la comparsa di dolori in varie parti del corpo che non coincidono mai con la causa del dolore stesso (prerogativa del dolore causato da un trauma diretto).

Creano disfunzioni posturali i problemi che coinvolgono:

  1. il vestibolo
  2. gli occhi
  3. la bocca
  4. la pelle
  5. i piedi
  6. le viscere
  7. la psiche
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Rieducazione Posturale

La rieducazione posturale è una disciplina in grado di correggere atteggiamenti scorretti  e di prevenire disturbi più seri a carico della colonna vertebrale.

Il primo step è quello dell’osservazione dell’individuo da un punto di vista sia strutturale che funzionale: è necessario  individuare atteggiamenti errati che possono legarsi all’insorgenza di una patologia e quindi  porvi rimedio eliminandoli  o minimizzandoli così da ricondurre il paziente alla piena salute. Verrà proposto un lavoro di allungamento per i muscoli che hanno perso elasticità (rigidi e ipertonici )e al tempo stesso un lavoro di rinforzo per i muscoli poco allenati (ipotonici)

Lo scopo finale è quello di ricondurre il paziente alla corretta postura evitando o limitando quando possibile l’assunzione di farmaci o il ricorso ad interventi chirurgici, mettendolo in condizione di svolgere in maniera armonica la normale attività quotidiana.

La ginnastica posturale è particolarmente adatta per prevenire ogni tipo di algie e patologia, ha effetti positivi sul sistema nervoso e su quello cardiocircolatorio, può essere utile per combattere stati di ansia e riequilibrare il sistema di sonno-veglia in caso di insonnia. Purtroppo, la maggior parte di coloro che si avvicina alla ginnastica posturale lo fa solo dopo che gli viene diagnosticato un problema, come ad esempio Iperlordosi, Scoliosi, Cervicalgie o altri difetti di postura.

La ginnastica posturale è una tecnica, un modo di fare ginnastica che prevede:

–  allungamenti delle catene muscolari retratte;

–  recupero della motilità articolare;

–  potenziamento della muscolatura; educazione allo schema corporeo;

– apprendimento delle sensazioni esterocettive (contatti, pressioni, ecc);

–  apprendimento delle sensazioni propriocettive (posizioni articolari, tensioni muscolari, ecc);

– percezione globale del corpo in riferimento agli orientamenti spaziali; educazione respiratoria (diaframmatica e toracica).

Attraverso la respirazione ed in particolare durante l’espirazione e cioè la fuoriuscita dell’aria, eliminiamo il 70 % delle tossine contenute nel nostro corpo. L’ossigenazione data dalla respirazione completa aumenta anche la lucidità della nostra mente, rallenta i battiti cardiaci, rende più energici a livello fisico durante le attività lavorative, migliora il sonno notturno e il metabolismo, quindi le funzioni digestive e intestinali.

Per praticare in modo corretto la ginnastica posturale sono necessarie specifiche conoscenze di anatomia, ecco perché è consigliabile rivolgersi a terapeuti qualificati che aiutino per prima cosa ad identificare la sintomatologia, e che illustrino poi il tipo di esercizi e le modalità di svolgimento.

Per la riuscita del trattamento è fondamentale la collaborazione attiva del paziente.

La rieducazione insieme alla ginnastica posturale possono avere un ruolo molto importante per l’eliminazione del dolore, il recupero della funzionalità muscolare e articolare, nei casi di cervicalgie, lombalgie, ernie del disco, pubalgie e in tutte le alterazioni posturali tipiche dell’età evolutiva come la scoliosi e l’ipercifosi dorsale.

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